Albert Camus scrive questo romanzo un anno prima del premio Nobel, conferitogli per “aver messo in luce i problemi che si pongono alla coscienza dei contemporanei”.
Se L’Uomo in rivolta poteva giudicare il divino Demiurgo solo se più giusto di Lui, ciò”, ammette ora Camus, “ esige un’innocenza che io non ho più”, quella divenire.
E’ il momento dell’estasi, etimologicamente “stare fuori”, di una radiosa, solare immobilità.
Senza pretendere un’impossibile innocenza, si può scoprire il principio di una colpevolezza ragionevole?
Il racconto, pervaso di un’oscura e travolgente ironia, di un malinconico senso di disfatta morale, è un monologo lungo cinque giorni, la parabola di una vita
Protagonista ne è Clemence, un noto avvocato parigino, specializzato nelle nobili cause, “ mi bastava fiutare il minimo odor di vittima sull’accusato perché le mie maniche si mettessero in moto”. Viveva impunemente senza che alcuna sentenza lo riguardasse, “regnavo liberamente in una luce edenica…devo dirlo…mi trovavo un po’ superuomo…non riuscivo a credere che la presenza simultanea di qualità così diverse ed eccezionali fosse solo frutto del caso…perciò mi sentivo autorizzato alla felicità da qualche superiore decreto.”
Buono per puro egoismo, affascinante per pura vanità e accattivante per narcisismo.
Una notte giunge il cambiamento, la presa di consapevolezza, in un piccolo dramma, in un’azione vigliacca. La “caduta”si manifesta con un’agghiacciante risata che si allontana nel fiume, riflesso della sua anima colpevole.
Abbandona la sua carriera e Parigi e si trasferisce ad Amsterdam.
Può darsi che voglia redimersi. Ci prova a far tacere le risate, confessando i propri errori agli occasionali avventori di una taverna portuale,ma diviene penitente soltanto per poter trasferire, attraverso una sorta di posticcia empatia, la sua cattiva coscienza sui suoi ascoltatori e sull’Uomo.”Il più grande tormento umano e quello d’essere giudicati senza legge…per fortuna io sono arrivato! Io sono la fine e il principio…sono giudice-penitente!”
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