Uno dei tanti racconti che ho letto negli ultimi tempi, dopo la malinconia di un pò di sana letteratura, con grandi autori del passato, è “Il cappotto” di Nikolaij Gogol’. Parla di un uomo, Akakij Akakievic, per il quale la sua professione di impiegato addetto alla copiatura di lettere e documenti ufficiali, rappresentava tutta la sua vita. Il racconto inizia con lo spiegare l’origine del suo nome, e già da questo punto si capisce che si tratta di un personaggio che può passare inosservato, ma poi viene descritto talmente tanto bene, non tanto fisicamente quanto caratterialmente, attraverso i suoi gesti quotidiani, che il lettore ha un’idea precisa del protagonista sin dalle prime pagine.
“Akakij akakievic prestava il suo servizio con amore. Lì, in quel copiare, vedeva un suo mondo multiforme e attraente”. I colleghi non lo degnavano nemmeno di uno sguardo, e, quasi con disprezzo gli riversavano sulla scrivania il lavoro che avrebbe dovuto fare. Un uomo abituato a risparmiare anche nelle più piccole cose, per riuscire, con enormi sacrifici a farsi cucire un cappotto nuovo per affrontare il gelo di Pietroburgo. Un uomo che solo per il suo cappotto viene invitato dai suoi colleghi a festeggiare in casa di un collega più facoltoso, e, finita la serata, viene aggredito e derubato del suo bene più prezioso: il cappotto, appunto.
“Al di fuori del suo lavoro, sembrava che per lui non esistesse nulla. Scomparve e svanì un essere che nessuno difendeva, che a nessuno era caro, che non interessava a nessuno. Un essere che aveva sopportato docilmente beffe di cancelleria ed era sceso nella fossa senza aver compiuto alcuna azione straordinaria”. Morirà senza che nessuno se ne accorga, solo, nella sua stanza in affitto, nel delirio provocato da una febbre. Il suo fantasma continuerà a terrorizzare i passanti e a rubare i loro cappotti. Chi ha avuto la sfortuna di incontrarlo, dirà che si trattava proprio del defunto Akakij Akakievic.
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