Una dedica: “Alle madri, perché essere in due comincia da loro”e un tenero poemetto alla sua, di madre, a Mamm’Emilia. Così Erri De Luca saluta la sua intuizione, quella che il due non sia il doppio, ma il contrario di uno, della sua solitudine. Un sasso lanciato nell’acqua che allarga il proprio cerchio diciotto volte, diciotto racconti lontani nel tempo e nello spazio e che pure ci mostrano un ordine, la crescita personale dell’autore, percorso riavvolto come guscio di ammonite.
De Luca si gira a regalarci riverberi dei suoi vent’anni, delle corse in cellulare alla polizia, senza soffiare sul mito della generazione insorta. I toni miti e schietti di sempre. La politica arrossa le labbra di botte, ma anche di vino e di baci.
L’esilio da Napoli a mordere altrove la libertà. Le notti in compagnia di un ciclostile e riposare gli occhi stanchi del bianco e nero ad una gonna blu come “quello che circonda la lampara nella pesca notturna.”Due volte morire e risorgere. L’africa e la malaria.
Torino e il ritorno a Napoli. I ricordi di bambino: Ischia in barca o nelle segrete. Odore di salsedine e brioches. Il papà, la sua arte e il pollice arlecchino. E poi il suolo ventriloquo di Napoli e del suo Vesuvio che per non aggiungere altro orrore esplode solo con giochi pirotecnici, nel 44, a salutare la guerra.
Infine un brindisi al lettore, a fissare l’augurio ad essere due:”due come sono i piedi…come i tempi del battito, i colpi del respiro”
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