“Il libro dell’inquietudine” risulta sotto molti aspetti un’opera incompiuta di Fernando Pessoa, che iniziò a scriverlo nel 1913 e continuò a rimaneggiarlo fino quasi alla morte sopraggiunta nel1935.
Un libro che è stato ricomposto dopo la sua morte, proprio perchè fatto di tanti piccoli pezzi sparsi in oltre 27.000 fogli, nè datati nè firmati, che furono sapientemente riuniti per darne una forma unitaria. Un libro che a me è piaciuto molto e di cui vorrei riproporre alcuni brani significativi, magari da commentare insieme.
“Ho avuto grandi ambizioni e sogni turgidi – ma i sogni li hanno avuti anche il garzone e la sartina, perché tutti sognano. Quello che distingue le persone le une dalle altre è la forza di farcela, o di lasciare che sia il destino a farla a noi”.
“C’è, tra me e il mondo, una nebbia che mi impedisce di vedere le cose come veramente sono – come sono per gli altri”.
“L’amore codardo che tutti noi proviamo per la libertà (libertà che, se la conoscessimo, troveremmo strana perché nuova, e la rifiuteremmo) è il vero indizio del peso della nostra schiavitù”.
“E se tutti noi fossimo sogni che qualcuno sogna, pensieri che qualcuno pensa?”
“Non amiamo mai nessuno. Amiamo solamente l’idea che ci facciamo di qualcuno. È un nostro concetto (insomma, noi stessi) che amiamo. Questo discorso vale per tutta la gamma dell’amore. Nell’amore sessuale cerchiamo il nostro piacere ottenuto attraverso un corpo estraneo. Nell’amore che non è quello sessuale cerchiamo un nostro piacere ottenuto attraverso un’idea nostra. […] Perfino l’arte, nella quale si realizza la conoscenza di noi stessi, è una forma di ignoranza. Due persone dicono reciprocamente “ti amo”, o lo pensano, e ciascuno vuol dire una cosa diversa, una vita diversa, perfino forse un colore diverso o un aroma diverso, nella somma astratta di impressioni che costituisce l’attività dell’anima”.
“Un uomo, se possiede la vera sapienza, può godere l’intero spettacolo del mondo seduto su una sedia, senza saper leggere, senza parlare con nessuno, soltanto con l’uso dei sensi e il fatto che l’anima non sappia essere triste”.
“D’improvviso come se un destino chirurgo mi avesse operato di una vecchia cecità con immediati grandi risultati, sollevo il capo, della mia anonima vita, verso la conoscenza nitida di come esisto. E vedo che tutto ciò che ho fatto, tutto ciò che ho pensato, tutto ciò che sono stato, è una specie di inganno e di follia. Mi meraviglio di non essere riuscito a vederlo. Mi stupisco di quello che sono stato, vedendo che alla fine non sono”.
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