Siamo nella prima metà del XX secolo, ai piedi delle Alpi, in Provenza. La zona è fatta di terra e sterpi, chi la percorre ne sente tutta l’inospitalità. In un viaggio a piedi in solitaria tra quelle colline, lo scrittore Jean Giono, stremato dal vento tagliente e dall’arsura, incontra una personalità indimenticabile: un pastore solitario e tranquillo che si è ritirato a vivere in quel luogo, in totale solitudine, dopo la perdita di moglie e figlio.
Questi gli dà da bere e gli offre ospitalità nella sua umile casa di pietra.
E’ così che, seguendolo nelle sue giornate, Giono, viene a sapere che quest’uomo non conduce affatto una vita segnata dal declino e dalla rassegnazione, ma che ha trovato “ un bel modo di essere felice”.
Nonostante la sua semplicità sta compiendo un’azione grandiosa che avrebbe cambiato il volto della sua terra e la vita delle generazioni future.
Quotidianamente persegue con tenacia il suo obiettivo “un lavoro per la cui impresa era necessaria la speranza”: piantare quante più ghiande possibile.
Ogni giorno in campagna, raccoglie semi e pianta degli alberi, fino a 10.000 all’anno.
Giono tempo dopo, tornerà sul posto e si troverà davanti una regione verde tappezzata di boschi di querce, rivoli d’acqua, fremente di colori e di odori, che in nulla avrebbe potuto ricordargli quella di un tempo: una resurrezione.
Favola ecologica, simbolo di resistenza umana e incrollabile fiducia nella vita.
Una storia esemplare di umiltà e dedizione, che racconta “ come gli uomini potrebbero essere altrettanto efficaci di Dio in altri campi, oltre la distruzione”.
Una riflessione sul senso del donarsi senza pensare ad un corrispettivo utile a garantirsi direttamente vantaggi e comodità.
Un tempo che supera il tempo dei desideri e dei bisogni del singolo uomo dove l’agire in armonia con la natura torna a confluire in quell’infinito che ci ha generati.
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