All’inizio della primavera, mi capita spesso di desiderare di leggere un buon libro. Quest’anno per fortuna ho trovato un romanzo che fa davvero al caso mio, travolgente, pieno di storie e pathos. “E tu non sei tornato” di Marceline Ivens Loridan è un flusso di ricordi breve ma torrenziale, animato da un’incrollabile voglia di sopravvivere, rende impossibile staccare gli occhi dalle pagine di una delle testimonianze più forti consegnateci dalle vittime della Shoah.
Quella raccontata è una storia autobiografica, oggi ottantasettenne, in queste memorie in forma di lettera al padre, Marceline Ivens Loridan ricorda con straordinaria chiarezza gli orrori subiti, ma soprattutto rivela l’amore incondizionato che la lega al genitore, le cui parole al momento della deportazione – «Tu tornerai, Marceline, perché sei giovane» – l’accompagnano, spronandola a sopravvivere, per tutto il percorso che la attende, da un campo all’altro, da Birkenau a Bergen-Belsen, da Lipsia a Theresienstadt, fino alla liberazione e al ricongiungimento con la madre e i fratelli.
Le sue frasi brevi, concise, ci presentano i fatti accaduti man mano che le ritornano alla memoria, e ci raccontano anche il «dopo»: il ritorno a casa, la difficoltà di tornare a una vita normale, le incomprensioni con chi vuole solo dimenticare, il matrimonio con l’intellettuale francese Joris Ivens. Fino ad oggi, oggi che ha deciso di condividere con noi la sua storia, per far capire a tutti qual’è la verità, ma soprattutto per svuotare l’anima.